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domenica 21 settembre 2008

Alcune verità sulla “crisi georgiana”

resoconto bellissimo. lo posto per intero e senza foto di riempimento. da leggere tutto d'un fiato

:::: 18 Settembre 2008 :::: 13:45 T.U. :::: Resoconto - Seminari di Eurasia 2008-2009 :::: Enrico Galoppini

di Enrico Galoppini*




Resoconto de “Il Caucaso in fiamme. La reale posta in gioco nella «crisi in Georgia» e la fine dell’unipolarismo americano” (seminario di “Eurasia. Rivista di Studi geopolitici” – Torino, 17 settembre 2008)

Il 17 settembre, a Torino, presso il Centro culturale italo-arabo Dar Al-Hikma, si è svolto il convegno “Il Caucaso in Fiamme. La reale posta in gioco nella "crisi in Georgia" e la fine dell'unipolarismo americano”. L’iniziativa, inserita nell’ambito dei seminari 2008-09 di “Eurasia. Rivista di Studi geopolitici”, ha visto la partecipazione di due ottimi conoscitori della questione che, recentemente, è stata al centro delle cronache e dell’attenzione degli analisti di politica internazionale.
Nell’introduzione, il sottoscritto ha esortato i relatori, Fabrizio Vielmini (esperto di geopolitica russa e ricercatore associato presso l'ISPI) e Luca Bionda (collaboratore di “Eurasia” che ha visitato Abkhazia ed Ossezia del sud) a sottolineare come la “crisi georgiana” abbia posto fine agli ultimi residui d’ambiguità della politica estera atlantica e dei suoi ‘diversivi’ (tipo la “guerra all’Islam”), quando ormai è evidente che l'obiettivo della “guerra al terrorismo” è la Russia. Allo stesso tempo, nella breve guerra d’agosto, è venuta a cadere la favola del “rispetto del diritto internazionale”, poiché l’esercito georgiano, sobillato dagli atlantici, ha colpito anche i peacekeepers russi.

Luca Bionda ha proposto inizialmente una scheda storica sull’Ossezia, e, con l’aiuto di una dettagliata carta della regione, ha illustrato ai presenti il complesso mosaico di popoli della regione del Caucaso. Dopo di che è passato a spiegare le relazioni che intercorrono tra gli osseti, i russi e i georgiani, in modo da capire perché i primi si sono posti sotto la protezione di Mosca. L’inizio del “problema” – ha spiegato il collaboratore di “Eurasia” – è da situare in concomitanza con la fine dell’URSS, quando le istanze autonomiste-indipendentiste dell’Ossezia del Sud (come di altre repubbliche) emersero chiaramente per motivi d’autodifesa, per poi giungere alla sistemazione del 1992.

Fabrizio Vielmini ha successivamente proposto un intervento denso ed illuminante su come gli Stati Uniti abbiano pianificato ed attuato una vera e propria “strategia per la Georgia”, dagli anni Novanta alle “rivoluzioni colorate”. Con la fine del sovietismo, la Russia ha dovuto per un decennio stare alle “regole del gioco” definite dall’America, che in un delirio d’onnipotenza mirava a stabilirsi (in eterno?) come l’unica superpotenza mondiale. Il tentativo d’imporre un mondo multipolare guidato dalla “unica nazione indispensabile” ha coinvolto lo strumento militare principe del dispositivo atlantico, ovvero la NATO, con la prospettiva di un suo “allargamento” a Paesi dell’area di tradizionale influenza russa e comunque ex sovietica, in maniera da completare l’accerchiamento ai danni del “nemico principale”. Allo stesso scopo gli Stati Uniti si sono dati da fare per far prevalere, con particolare impegno dopo il cosiddetto big bang del XXI secolo (l’11 settembre), il passaggio di oleodotti e gasdotti attraverso Paesi da essi controllati. La guerra delle pipelines, infatti, spiega anche in parte l’intervento in Afghanistan, e bene ha fatto Vielmini a ricordare che la “guerra al terrorismo” già nel 2002 apriva un nuovo fronte proprio in Georgia, con la scusa dei “ribelli ceceni” (!) affiliati ad al-Qâ‘ida. L’anno successivo, non a caso, avveniva la prima delle cosiddette “rivoluzioni colorate”, quella in Georgia, che avrebbe costituito il paradigma per tutte quelle successive, riuscite e non, dall’Ucraina all’Asia Centrale, passando per la Bielorussia, con l’obiettivo finale del colpo di mano a Mosca.

I relatori – mantenutisi sempre nell’alveo dell’analisi geopolitica – non hanno ritenuto importante dedicare del tempo alla denuncia della cosiddetta “informazione” e delle sue invenzioni, poiché è evidente che una propaganda che riesce a trasformare l’aggressore in aggredito può prosperare solo in un ambiente plagiato dai condizionamenti di quella stessa superpotenza i cui sogni di dominare il mondo si sono, probabilmente, infranti nel corso di quella che a torto potrebbe essere considerata una “crisi locale”. Piuttosto, è stata senz’altro utile la descrizione di alcuni aspetti della “democrazia georgiana”, per la quale – secondo uno dei cantori dell’indispensabilità dell’unipolarismo americano, Bernard-Henri Lévy – noialtri europei dovremmo essere disposti a ‘morire’. A voler prendere sul serio certi parametri “democratici”, quel che invece risalta è l’assoluta arbitrarietà del regime imposto da Saakhashvili, cresciuto ed ammaestrato dai suoi padroni d’Oltreoceano per andare a predicare un nazionalismo ottuso ed aggressivo ai danni dei popoli non georgiani che vivono entro i confini dello Stato retto da Tiblisi. Per non parlare degli atti d’intimidazione e delle violenze d’ogni tipo ai danni delle opposizioni, sia di piazza (quelle del nov. 2007 sono già finite nel dimenticatoio) che istituzionali (oppositori uccisi o fuggiti all’estero).

Lo sconsiderato attacco a Tskhinval e la pronta risposta russa sono stati al centro del secondo intervento di Fabrizio Vielmini. La Russia non poteva fare altrimenti. Mostrarsi indecisi avrebbe inferto un durissimo colpo alla credibilità della capacità della Russia di garantire sia la propria stabilità sia la propria credibilità, con successivo effetto domino di rivendicazioni separatiste ed incoraggiamento alle provocazioni delle nuove “democrazie” post-sovietiche targate USA. A questo punto, invece, le velleità degli Stati baltici, della Polonia, dell’Ucraina (in crisi istituzionale e con la Crimea che addirittura chiede a Kiev di riconoscere Abkhazia e Ossezia del Sud!) vengono fortemente ridimensionate, così come la possibilità da parte della cosiddetta “nuova Europa” di fungere da punta di lancia del dispositivo anti-russo escogitato dagli americani in combutta con quei settori europei che hanno sponsorizzato l’allargamento dell’UE a Paesi il cui “spirito europeista” è tutt’altro che comprovato. Uno dei contraccolpi della “crisi georgiana”, o meglio dell’indiscutibile vittoria russa, è stata l’emersione di fratture profonde in seno all’UE e di una spaccatura nel “campo euroatlantico” difficilmente ricomponibile.

Alcuni dei presenti hanno poi posto alcune domande, tra cui una nella quale si chiedeva un parere su un’eventuale svolta americana nel caso in cui Barack Obama diventasse il prossimo presidente. Ma l’approccio geopolitico ha il pregio di concedere ben poco all’ideologia, per cui Fabrizio Vielmini ha assicurato che le linee di politica estera di Washington restano fondamentalmente le stesse, repubblicani o democratici, e prova ne è che il pianificatore della strategia verso la Russia negli anni Ottanta, Zbignew Brezisnki (originario proprio della “nuova Europa”), è diventato uno dei consiglieri del candidato democratico… Lo stesso Vielmini, per non usare troppi giri di parole, ha ribadito che, per gli USA, il “nemico principale” è la Russia, e non la Cina, come alcuni sostengono, e sarà proprio interessante seguire se quest’ultima approfondirà la cooperazione avviata in seno all’Organizzazione della Conferenza di Shangai o se proverà ad approfittare del contrasto russo-americano per rinnovare la stagione della “diplomazia del ping-pong”.

Le conclusioni da trarre dal seminario di “Eurasia” dedicato al “Caucaso in fiamme” sono perciò le seguenti:
1) la fine dell'unipolarismo americano è già un fatto, e la manovra a tenaglia contro la Russia s’è inceppata, mentre l’America si avvia verso una crisi cronica (finanziaria, ma anche militare, per l’impossibilità di sostenere i troppi scenari che la vedono coinvolta);
2) il baricentro mondiale va spostandosi verso il blocco dei Paesi dell’OCS, con l’Europa che dovrà presto trarre da ciò le adeguate conclusioni, pena un “isolamento” attribuito vanamente alla Russia;
3) l’ultima spiaggia degli USA resta la messa in opera dell’extrema ratio: “Europa terra nostra o di nessuno”, e per questo il dispositivo militare anti-russo va dispiegandosi sul terreno dell’UE, anziché – come sarebbe logico osservando un mappamondo – in Alaska, davvero a due passi dal “nemico principale”…

La reale posta in gioco nella “crisi in Georgia” è, assieme a quella di altre “crisi” (si pensi a quella mediorientale, nient’affatto scollegata), l’esito della lotta per il predominio mondiale: da una parte gli USA, che vedono esaurirsi l’illusione di costituire l’unico centro decisionale, dall’altra le potenze eurasiatiche e il nuovo assetto multipolare del XXI secolo.

inserisco il link di un articolo di Marcello Foa per il Giornale del 12 agosto 2008 in sintonia con il seminario. eccolo qua

sabato 20 settembre 2008

a cosa ci ha portato la Georgia



ancora non ho scritto sui fatti georgiani dello scorso agosto. la visita al blog di antonio mi ha però convinto della necessità di farlo, benchè per certi versi l'agosto sia già preistoria.
tra il 7 e l'8 agosto Tiblisi tenta di recuperare la regione separatista filosrussa dell'Ossezia del Sud. in risposta, l'esercito russo invade la Georgia arrogandosi il diritto di difendere i suoi concittadini (il 90% dei sud osseti hanno passaporto russo) dal violento bombardamento georgiano della notte precedente.
negli Stati Uniti si sta preparando la convention di Denver, in Europa i parlamenti sono chiusi per ferie. i fatti georgiani fanno chiudere le sdraio a ministri, diplomatici e giornalisti. tutti eccetto Frattini che segue le vicende dal suo paradiso esotico (forse gli italiani dimenticheranno presto di questo fatto ma, per quanto mi riguarda, ogni qual volta avrò modo di parlare di Frattini rammenterò quest vergognosa mancanza di responsabilità dimostrata dal ministro degli esteri di una delle 8 nazioni più industrializzate del mondo, alleato NATO, membro fondatore della CEE e cliente di spicco del gas russo). il Presidente UE si reca a Mosca per mediare, mentre Bush parla di reazione sproporzionata.
risultato: i russi sono ancora in Georgia, il presidente Sarkosy si è limitato a fare da notaio alla prossima annessione dell'Ossezia del Sud al territorio russo e la campagna elettorale amenricana ha aggiunto un ingrediente alla sua ricetta propagandistica.
ma quali sono le ragioni del conflitto? domanda da un milione di dollari. la Georgia aveva visto respingere la sua candidatura al club NATO proprio per voto sfavorevole di Sarkozy ( e della Merkel); credeva forse che qualcuno sarebbe venuto in suo soccorso? pensava forse che subire un'aggrssione russa avrebbe dato qualche chance di entrare nella NATO? al contrario, quanto accaduto diminuisce le possibilità di far parte dell'alleanza: se la Georgia entrasse nella NATO e ripetesse un azzardo del genere l'intera Europa sarebbe costretta ad una guerra contro la Russia in virtù della difesa reciproca. impossibile.
intanto la Polonia si vantava di aver aderito allo scudo missilistico; Washington assicurava che non si trattava di una soluzione anti russa ma contro le minacce iraniane. peccato che chiunque abbia un minimo di conoscenza dell'hardware militare americano sa che i missili patriot che verranno installati in russia hanno come unico obiettivo i missili di cui è dotato il Cremlino. del resto le menzogne e la disinformazione sulla situazione internazionale ha dilagato per tutto agaosto e per i primi di settembre. Kagan si è permesso di dire che le circostanze che hanno portato al conflitto non sono importanti.
in ogni caso il danno è già fatto, i russi sono in Georgia ed al contrattacco per la prima volta dal 1991 ad oggi. l'interregno inziato nel 1991 è definitivamente finito: il Consiglio di sicurezza ONU a cui avevamo affidato le nostre sorti non esiste più, sepolto dalle bombe su Belgrado, dal'invasione dell'Iraq, dal nucleare iraniano, dal riconoscimento del Kosovo ed adesso dalla presa russa di Gori, la città natale di Stalin.
adesso non ci resta che attendere le vaste ripercussioni di quanto accaduto e la risposta ad una domanda decisamente più esplicita di quanto lo fosse in passato: con chi vogliamo stare?

come aproffondimento consiglio
Sergio Romano su Panorama e
l'editoriale online del nuovo limes "Russia contro America peggio di prima" che purtroppo da dove mi trovo non potrò aver

sabato 24 maggio 2008

“Capisci, George? L’Ucraina non è nemmeno uno Stato!

“Capisci, George? L’Ucraina non è nemmeno uno Stato! Che cos’è l’Ucraina? Parte del suo territorio è Europa orientale. Ma l’altra parte, quella più importante, gliel’abbiamo regalata noi!” Quando il 4 aprile scorso Vladimir Putin si rivolse così al “caro amico” americano, qualcuno dei leader riuniti attorno al tavolo del summit Nato di Bucarest pensò che il gelido scacchista russo si fosse lasciato andare. Niente affatto. Era una provocazione calcolata, di quelle che nelle scuole dell’intelligence russa s’imparano nei corsi propedeutici.Guardando dritto negli occhi George W. Bush, Putin scolpiva in poche frasi il senso dei suoi primi - forse non ultimi – otto anni da presidente della Russia. E cioè: siamo tornati una grande potenza ed è bene che tutti, amici, finti amici e nemici, ne prendiate buona nota. A cominciare dall’Ucraina, che insieme alla Georgia continua a battere alla porta della Nato. La Russia, avverte Putin, è in grado di disintegrarle. Se davvero Kiev e Tbilisi aderissero al Patto atlantico, lo farebbero da staterelli dimidiati. L’Ucraina senza la Crimea (già parte della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, ceduta in comodato nel 1954 dall’ucraino Khruščëv all’Ucraina sovietica) e le più che russofile regioni orientali. La Georgia senza l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, semi-annesse da Putin con una delle sue ultime direttive. Tanto per non lasciar dubbi, Mosca ha rafforzato il suo schieramento militare nella repubblica secessionista abkhaza. Peacekeeping, giura il Cremlino. Piecekeeping, temono alla Casa Bianca. (…)
di Lucio Caracciolo, editoriale limes 03/08