“Capisci, George? L’Ucraina non è nemmeno uno Stato! Che cos’è l’Ucraina? Parte del suo territorio è Europa orientale. Ma l’altra parte, quella più importante, gliel’abbiamo regalata noi!” Quando il 4 aprile scorso Vladimir Putin si rivolse così al “caro amico” americano, qualcuno dei leader riuniti attorno al tavolo del summit Nato di Bucarest pensò che il gelido scacchista russo si fosse lasciato andare. Niente affatto. Era una provocazione calcolata, di quelle che nelle scuole dell’intelligence russa s’imparano nei corsi propedeutici.Guardando dritto negli occhi George W. Bush, Putin scolpiva in poche frasi il senso dei suoi primi - forse non ultimi – otto anni da presidente della Russia. E cioè: siamo tornati una grande potenza ed è bene che tutti, amici, finti amici e nemici, ne prendiate buona nota. A cominciare dall’Ucraina, che insieme alla Georgia continua a battere alla porta della Nato. La Russia, avverte Putin, è in grado di disintegrarle. Se davvero Kiev e Tbilisi aderissero al Patto atlantico, lo farebbero da staterelli dimidiati. L’Ucraina senza la Crimea (già parte della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, ceduta in comodato nel 1954 dall’ucraino Khruščëv all’Ucraina sovietica) e le più che russofile regioni orientali. La Georgia senza l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, semi-annesse da Putin con una delle sue ultime direttive. Tanto per non lasciar dubbi, Mosca ha rafforzato il suo schieramento militare nella repubblica secessionista abkhaza. Peacekeeping, giura il Cremlino. Piecekeeping, temono alla Casa Bianca. (…)
di Lucio Caracciolo, editoriale limes 03/08
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