giovedì 8 novembre 2007

La storia della Yukos


La storia della compagnia petrolifera Yukos va raccontata tutta al passato, visto che il primo agosto del 2006 l’autorità giudiziaria russa la fa chiudere per bancarotta. L’azienda era nata nell’aprile del 1993. Il suo acronimo – in russo ЮКОС – deriva dai nomi dei maggiori soggetti che componevano inizialmente l’azienda: Юганскнефтегаз (Yuganskneftegaz, Nefteyugansk petrolio e gas) e КуйбышевнефтеОргСинтез (Kuybyshevnefteorgsintez, Kuybyshev petrolio e raffinazione). Era stata creata da un decreto[1] del governo russo come impianto per la lavorazione del petrolio nella Siberia occidentale. Nel 1995, con un altro decreto[2], la compagnia Samaraneftegas entra a far parte di Yukos. I maggiori azionisti possedevano l’azienda attraverso la holding Menatep[3]. Nell’aprile del 2003 Yukos si stava accordando con la Sibneft’ di Roman Abramovitch – e di proprietà di Gazprom Neft – ma l’accordo saltò in seguito all’arresto del numero uno di Yukos Khodorkovskij nell’ottobre dello stesso anno. L’autorità giudiziaria russa lo condannò a otto anni di prigione per frode fiscale. Khorodorkovskij si stava candidando a leader dell’opposizione in parlamento, ma in realtà stava solo provando a mettere insieme una qualche decina di fedelissimi sparsi per tutti i partiti che potessero fare da ago della bilancia su decisioni che richiedevano istituzionalmente la maggioranza dei due terzi[4]. Ma questa ragione, da sola, non basta a spiegare i fatti capitati alla Yukos. Khorodorkovskij ha utilizzato una tattica conosciuta a qualsiasi oligarca russo. Quel che forse è successo è dovuto ad un casuale combinarsi di eccesso di fedeltà e di autonomia dei sottosistemi – ed in particolare di quelli giudiziario ed amministrativo – e non da un rigoroso complotto dei piani alti. In ogni caso è successo ed ha cambiato non poche cose. Sono importanti le modalità della cronaca di Yukos e quel che avvenne in parallelo ed in conseguenza di questa sorta di caso esemplare.

Dei tantissimi capi d’imputazione dell’affaire Yukos, solo uno riguarda l’”accumulazione originaria” da cui è partito il nostro ragionamento in questa sezione, ma deduce un episodio tutto sommato non fondamentale della vita di Yukos, legato com’è all’acquisizione di una società di fertilizzanti (Apatity). Tutte o quasi le altre imputazioni sono di frode fiscale e non riguardano il modo in cui Yukos si è formata ed è stata poi acquisita da Khodorkovskij. Sono relative a qualche anno dopo ed al momento in cui la disgregazione della Federazione Russa aveva aperto la possibilità di promulgare legislazioni o comunque concludere convenzioni fiscali a livello delle autonomie locali. Per gli oligarchi si presentava la possibilità di concludere grossi affari, anche per Khodorkovskij. I grandi interessi economici si impegnarono nell’esplorazione e nella scoperta delle Cayman Islands degli Urali e si ingegnarono con successo a trarne il massimo beneficio. Le tecniche e le possibilità erano virtualmente illimitate e davano luogo a concatenazioni societarie praticamente infinite, il cui punto di arrivo più in voga era, di norma, una holding ciprota[5]. Bastava, ad esempio, creare società, magari fantasma, in regioni fiscalmente avanzate come la Calmucchia o l’Evenkia e in cambio di futuri investimenti in loco si stipulavano convenzioni che potevano arrivare ad abbattere sino ad oltre due terzi del dovuto l’imponibile fiscale complessivo[6]. Tecnicamente, l’esenzione fiscale andava di regola ad incidere sulla quota comunque destinata per legge alle finanze regionali o locali. Di fatto, la generalizzazione di queste pratiche rischiava quasi di prosciugare le più significative fonti di gettito dell’intero sistema paese.

A questo punto interviene la presidenza. Per mettere fine a questo fenomeno anarchico, Putin era disposto a mettere a rischi la consistenza stessa del budget federale. Per recuperare il controllo, propose una soluzione non scritta nei testi legislativi, ma basata sul potere personale e non sul diritto. La genesi delle fortune non si doveva toccare, anche perché sarebbe stato economicamente e politicamente insostenibile partire dall’anno zero. Però, almeno una parte di quanto sottratto attraverso quegli schemi fiscali, a trattativa privata e non a condono, lo si doveva restituire. Le grandi fortune iniziano a trattare con il governo, ma si piegano. Yukos ingaggiò avvocati preparandosi a difendere la legalità del suo agire, ma non glielo si poteva permettere. Non era in gioco la legalità ma la possibilità stessa del potere federale di recuperare ed esercitare il controllo delle proprie risorse. In parallelo, ripristinare il potere centrale in Russia significa ripristinare la funzionalità e l’obbedienza degli apparati. Yukos è stato il test di questa priorità[7]. Così gli apparati, compreso quello giudiziario, scattarono sull’attenti rischiando, addirittura, di far danni per eccesso di fervore, di zelo e di obbedienza. In conseguenza, alla favola malinteso-marxista per cui prima ci sono i banditi, e poi si sviluppa un meraviglioso mercato smithiano, forse in molti ci hanno creduto. I grandi gruppi russi, nati molto spesso da un’intesa tra banchieri e capi delle società che dovevano farsi comprare, si sono il più delle volte sviluppati come una sorta di sistema feudale, nel senso che da un lato i condivisori del peccato originale – l’accumulazione originaria – mantenevano una sorta di diritto di veto nei confronti dell’”imperatore”, dall’altro l’”imperatore” ed i “feudatari” mantenevano interessi propri sui flussi societari. Difficile, almeno all’inizio, far prevalere una cultura della creazione del valore nel senso proprio del termine.

All’inizio degi anni Duemila l’interesse per la corporate governance e le sue pratiche visse un cospicuo incremento. Entrare nel libero mercato significava accettare la possibilità di essere comprati, e, dunque, si rendeva necessario stare sempre più attenti alla propria capitalizzazioni e sempre meno ai guadagni connessi al potere di gestione. L’accelerazione più violenta in direzione dei modelli economici occidentali di gestione e di controllo fu compiuta principalmente da quelle aziende che hanno origine nei metodi di loans for shares precedentemente analizzati. Queste aziende, infatti, non solo erano beneficiarie della favola capitalista, ma anche le principali debitrici. Yukos è lo spartiacque: al mercato si può e forse si deve accedere, ma solo passando per il Cremlino e nei limiti del suo consenso[8]. Questa, in sintesi è la sterzata operata dalla manovra economica della presidenza Putin dopo quattro anni di governo.

Nel luglio del 2004, Yukos venne accusata di aver evaso per US$ 7 miliardi. Il governo la accusava di aver usato impropriamente oasi fiscali all’interno del territorio russo sin dagli anni ’90 per ridurre il suo carico contributivo. Yukos continuava a sostenere ed a difendere la legalità delle sue operazioni, ma non riuscì ad espugnare la corte russa. Il 19 dicembre del 2004 la principale filiale dell’azienda, Yuganskneftegas, viene messa in vendita. Si presentano due rilevatori: Gazpromneftegtaz e Baikalfinansgroup, un misterioso gruppo finanziario. La gara viene vinta da quest’ultima che acquistò Yuganskneftegas per 6,975 miliardi di euro. Questo gruppo finanziario era stato creato qualche giorno prima della messa in vendita. Non è facile capire chi ci sia dietro Baikalfinansgroup, se il Cremlino, Gazprom o un’altra impresa vicina al Cremlino come Surgutneftegaz. Per prevenire la bancarotta, la direzione dell’azienda fece un’offerta di 8 miliardi di dollari da versare nelle casse dello Stato in tre anni. Ma il 15 dicembre del 2005, Yukos era finita sotto curatore fallimentare anche negli negli USA a causa di un debito di US$ 30.8 miliardi contro un utile di 12.3 miliardi. Nei capi di accusa di fallimento era inclusa anche una presunta passività aggiuntiva per delle tasse dovute al governo russo. La corte di Huston dichiarò che non esisteva alcuna teoria convincente che potesse asserire che Yukos potesse avere il domicilio fiscale negli Stati Uniti. La Yukos fu definitivamente liquidata.



[1] Initially Yukos was created by the decree #354 of the Russian government comprised of the following enterprises: a Western Siberian oil extraction enterprise Yuganskneftegaz and oil refineries in Samara Oblast: Novokuybyshev NPZ, Kuybyshev NPZ and Syzran NPZ (NPZ stands for NeftePererabatyvayushchy Zavod, literally "petroleum processing plant").

[2] Decreto numero 864.

[3] Bank Menatep was a US$29 billion holding company created by Mikhail Khodorkovsky, that had indirect controlling interest in Yukos Oil Company, and was involved in the US$4.8 billion diversion of International Monetary Fund (IMF) funds. The bank's financial condition was seriously damaged during the 1998 financial crisis due to a requirement by the Russian Central Bank that all commercial banks keep an economically untenable proportion of their reserve requirements in Russian treasury bills known as GKO, which subsequently collapsed, causing a default which led to the crisis and Bank Menatep's bankruptcy. The Central Bank revoked Menatep's licence in May 1999.

[4] M. Nicolazzi, “I poteri del petrolio”, op. cit. p. 74

[5] M. Nicolazzi, “I poteri del petrolio”, op. cit. p. 74

[6] Ibid.

[7] Ibid. p. 75

[8] M. Nicolazzi, “I poteri del petrolio”, op. cit. p. 75

mercoledì 7 novembre 2007

TeleVision_Rules_The_Nation

lunedì 5 novembre 2007

fiddle and the drum


And so once again
My dear Johnny my dear friend
And so once again you are fightin' us all
And when I ask you why
You raise your sticks and cry, and I fall
Oh, my friend
How did you come
To trade the fiddle for the drum
You say I have turned
Like the enemies you've earned
But I can remember
All the good things you are
And so I ask you please
Can I help you find the peace and the star
Oh, my friend
What time is this
To trade the handshake for the fist

And so once again
Oh, America my friend
And so once again
You are fighting us all
And when we ask you why
You raise your sticks and cry and we fall
Oh, my friend
How did you come
To trade the fiddle for the drum

You say we have turned
Like the enemies you've earned
But we can remember
All the good things you are
And so we ask you please
Can we help you find the peace and the star
Oh my friend
We have all come
To fear the beating of your drum

domenica 4 novembre 2007


cn nn poca fatica torno a casa prima che tramonti il sole, unica sorgente di luce in questa zona di berlino. apro un cassetto e tiro fuori una candela; un attimo e fuori è già buio, la luna scomparsa dietro le polveri giovani delle ultime bombe. mi stendo sul divano dopo aver preso un libro dal tavolo. "quotidie morimur: quotidie enim demitur aliqua pars vitae, et tunq quoque, cum crescimus, vita decrescit..." ... "diem cum morte dividimus". quando duemila anni fa seneca scriveva queste parole il tempo era simile all'attuale e la contrapposizione dittatore-democrazia corrispondeva a quella princeps-senato. lo stesso princes, come il dittatore di oggi, nascondeva il suo carattere autoritario e dispotico dietro la maschera della legalità repubblicana. "quemadmodum clepsydram nn extremum stillicidum exhaurit, sed quicquid ante defluxit", cosi la morte nn arriva nel momento dell'ultimo respiro ma ogni respiro è un lento avvicinarsi ad essa. come lucilio anche io ho voluto imparare a nn temere la morte nei primi giorni della guerra. per riuscire a sopravvivere. ma ora che sono passati gli anni e nn si contano i giorni, la morte la inizio a desiderare e invidio quelli che hanno lasciato questa lattrina schifosa. nn vi è nessuno in europa più libero dei morti. per trenta anni l'uomo ha sopportato. oggi morte significa libertà. da est i carri russi arrivano più veloci degli altri alleati. a berlino verrà divisa la torta. berlino è il centro della torta, quel punto su cui passerà la lama per sprtirne le fette.
e la notte scaccia il giorno che a sua volta scaccia la notte. tuuto si ripete in un noioso quanto inutile ciclo. ed in questa noia cosmica c'è ancora chi ha paura della morte?
domani mattina dovrò uscire di casa stando attento ai frammenti di intonaco che precipitano dai palazzi per recarmi nella piazza del pane. dopo un'ora di fila dovrò correre stringendomi ai due miseri panini schivando le piogge roventi che vengono dagli aerei inglesi a da quelli russi. e vedrò i visi sporchi dei bambibi scomparire dietro nubi che si sollevano all'improvviso sotto un ponte, ai piedi di una casa. orrore. ed il pianto delle loro madri che si mescola al suono disperato della sirena della contraerea. ed ancora più orribile è la certezza che quando farò rientro a casa sarò felice del fatto che quelli nn erano i miei bambini, quelle nn erano le mie mogli e quella che crollava nn era la mia casa. mi sedrò al tavolo e cinicamente divorerò il mio pane.

sabato 3 novembre 2007


polonia. non sono mai stato in polonia. eppure ci sarei dovuto andare, ma alla fine ho scelto la spagna. e non me ne pento. anzi.
ma ci volevo andare sul serio. avevo scelto danzica, ma sono andato a salmanca. eppure vedere la foto dei 126 con targa della polonia europea mi ha fatto ridere. stavo per andare a vivere in un paese dell'ue che si chiama polonia. e pensare che ho fatto pure la tesi di triennale sul cattolicesimo polacco!! stavo per andare a vivere in polonia, ma poi sono partito per la castilla, dove la chiesa ha trionafato sui mori. la foto dei 126 polacchi con targa europea, quanto è piccolo il mondo