martedì 15 luglio 2008

SATIRA, ULTIMO SUICIDIO A SINISTRA - DISTRUGGEVA PARTITI, È FINITA COME UN PARTITO - GRILLO CHE TI CHIAMA “SCRITTORE PREZZOLATO”

Jacopo Iacoboni per “La Stampa”

Distruggeva partiti, è finita come un partito; oltretutto, c’è chi ritiene, l’unico di sinistra, rissoso, facile al populismo, serioso. Una risata ci ha seppellito.

Prima non era così, la satira. Esisteva una sinistra; e poi esisteva chi la prendeva in giro. Cose distinte. Ora no, tutto si mischia, invettive e ragionamenti, risate e (para)politica. Le filippiche di Beppe Grillo in piazza Navona contro il presidente della Repubblica (il primo presidente ex comunista!). Sabina Guzzanti che parla male di Curzio Maltese (già autore di Serena Dandini).

Michele Serra che scrive pacato sostenendo di condividere Maltese. Vauro che va con Santoro. Paolo Flores che attacca il manifesto. Nanni Moretti che dice «sporcano tutto», anche la satira. Dario Fo che invece sta con Sabina, «la satira ha il diritto di insultare, è sempre stato così».
Stefano Benni che a cena si mostra disgustato e scrive sempre meno, via da Bologna, giù a Roma, meglio pensare al figlio diciottenne che cullarsi nell’autodistruzione. Daniele Luttazzi, pur pratico di coprofagia in tv, che scrive sul suo blog «stiamo attenti», non varchiamo il confine che dallo sberleffo anche hard porta all’urlo, dalla satira alla politica dei tribuni. Sfotti il Papa, e sei il primo a pontificare.

Nella deriva terminale della politica spettacolo, dove lo show prende il posto dell’opposizione (era accaduto ormai da tempo) e di ogni altro discorso pubblico (accade ora nelle piazze, e peggio ancora su Internet), è surreale osservare cos’è capitato alla più geniale generazione di satirici che l’Italia abbia conosciuto negli ultimi trent’anni. Quelli che «ci conosciamo tutti», quelli usciti da esperienze di vita simili, e poi dal Male, da Tango, da Cuore, o i più giovani, fratelli minori che avevano creato la stagione già televisiva della Tv delle ragazze, della Rai tre tv-verità, della ridotta del teatro Ambra Jovinelli.
Avevano sepolto di sberleffi (Il Male) l’austerità ottusa del Pci del ‘77, incapace di capire i giovani, umorismo e satira cochon vicina agli sfottò geniali degli indiani metropolitani, quelli di «Lama non lama». Dieci anni dopo avevano assestato il colpo di grazia al partito morente di Natta, lo raffiguravano come scimmietta ammaestrata ai piedi di Craxi e Andreotti (la copertina feroce su «Nattango»). Avevano quindi campato (Cuore) sul Psi craxiano dell’Italia da bere e di Tangentopoli, «Scatta l’ora legale: panico tra i socialisti». E poi, nella tv di Dandini e dei fratelli Guzzanti (anche loro ormai divisissimi), irriso alla pari Silvio e Romano. Finiscono, adesso, in un mesto tramonto italiano, lontanissimi gli uni dagli altri. Seppelliti da una risata, nel frattempo degradata a ghigno.

«Tango - ha raccontato Staino - finì perché non voleva diventare così». E ieri sull’Unità si tirava fuori un po’ sconsolato nella vignetta su Funari: «Funari ci ha lasciato?» «Non ha retto questa volgarità». E dire che quel giornale satirico - che raccolse Altan, Pazienza, Vincino, Angese, Ellekappa, Panebarco, più Sergio Saviane, Michele Serra, Stefano Benni, Gino & Michele - era stato feroce, aveva, lui sì, cantato il requiem a un partito, liberando il mondo comunista dalla drammatica assenza di autoironia.
Per la prima volta la sinistra irrideva la sinistra, con lievità e senza andare in piazza; ai tempi di Fortebraccio, o del Don Basilio anticlericale, o delle rubriche sull’Unità, «Il fesso del giorno» e «Il dito nell’occhio», o dei disegni di Gal, i comunisti sfottevano il nemico, non se stessi. Tango cambiò tutto, uscito grazie a un politico «di destra», Emanuele Macaluso, capace di dare tutta la libertà a quei giovani che sfottevano Natta, buttavano giù dal piedistallo gli intellettuali leggendari del Pci (alla morte di Renato Guttuso titolarono «Dio c’è... e vuole la sua parte d’eredità»), prendevano per i fondelli il giovane D’Alema, capo della Fgci, che per loro era e rimarrà sempre «Minimo», non Massimo... «Nessuno pensò mai di fare il leaderino», ricorda sempre Alessandro Robecchi, assieme a Serra pilastro di Cuore.

Sono i più intelligenti; quelli che avevano capito dove si stava andando a parare. La slavina è proseguita nolente loro. Fu proprio «Minimo» D’Alema che chiuse Tango, magari non stracciandosi le vesti. Eppure satira e politica (e sinistra) s’erano già allora a tal punto confuse che proprio «Minimo» sancì la fusione quando nel novembre ‘99, da presidente del Consiglio, fece causa a Giorgio Forattini chiedendo tre miliardi di risarcimento per una vignetta che lo raffigurava intento a cancellare con il bianchetto dei nomi da una lista del Kgb. Anche quella querela fondeva i generi: ciò che oggi i «compagni di scuola» ex Fgci imputano a Grillo e Guzzanti.

Sostiene Serra che Cuore decise di sciogliersi perché «ogni altro possibile sbocco (ma perché non fate un partito? perché non vi presentate alle elezioni?) ci sembrò esiziale», tra i due linguaggi, politica e satira, rappresentanza e rappresentazione, occorre «provare disperatamente a ristabilire ambiti e competenze». È come opporsi all’età della tecnica, al tramonto della politica, a Britney Spears che s’impasticca, dinanzi a Beppe Grillo che da mesi ti chiama «scrittore prezzolato», o Sabina Guzzanti che dà del «sicario» ai suoi amici d’un tempo, tutti sotto le macerie di una risata che avrebbe dovuto seppellire altri, e invece ha fatto a pezzi noi.


Dagospia 14 Luglio 2008

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