La storia della compagnia petrolifera Yukos va raccontata tutta al passato, visto che il primo agosto del 2006 l’autorità giudiziaria russa la fa chiudere per bancarotta. L’azienda era nata nell’aprile del 1993. Il suo acronimo – in russo ЮКОС – deriva dai nomi dei maggiori soggetti che componevano inizialmente l’azienda: Юганскнефтегаз (Yuganskneftegaz, Nefteyugansk petrolio e gas) e КуйбышевнефтеОргСинтез (Kuybyshevnefteorgsintez, Kuybyshev petrolio e raffinazione). Era stata creata da un decreto del governo russo come impianto per la lavorazione del petrolio nella Siberia occidentale. Nel 1995, con un altro decreto, la compagnia Samaraneftegas entra a far parte di Yukos. I maggiori azionisti possedevano l’azienda attraverso la holding Menatep. Nell’aprile del 2003 Yukos si stava accordando con la Sibneft’ di Roman Abramovitch – e di proprietà di Gazprom Neft – ma l’accordo saltò in seguito all’arresto del numero uno di Yukos Khodorkovskij nell’ottobre dello stesso anno. L’autorità giudiziaria russa lo condannò a otto anni di prigione per frode fiscale. Khorodorkovskij si stava candidando a leader dell’opposizione in parlamento, ma in realtà stava solo provando a mettere insieme una qualche decina di fedelissimi sparsi per tutti i partiti che potessero fare da ago della bilancia su decisioni che richiedevano istituzionalmente la maggioranza dei due terzi. Ma questa ragione, da sola, non basta a spiegare i fatti capitati alla Yukos. Khorodorkovskij ha utilizzato una tattica conosciuta a qualsiasi oligarca russo. Quel che forse è successo è dovuto ad un casuale combinarsi di eccesso di fedeltà e di autonomia dei sottosistemi – ed in particolare di quelli giudiziario ed amministrativo – e non da un rigoroso complotto dei piani alti. In ogni caso è successo ed ha cambiato non poche cose. Sono importanti le modalità della cronaca di Yukos e quel che avvenne in parallelo ed in conseguenza di questa sorta di caso esemplare.
Dei tantissimi capi d’imputazione dell’affaire Yukos, solo uno riguarda l’”accumulazione originaria” da cui è partito il nostro ragionamento in questa sezione, ma deduce un episodio tutto sommato non fondamentale della vita di Yukos, legato com’è all’acquisizione di una società di fertilizzanti (Apatity). Tutte o quasi le altre imputazioni sono di frode fiscale e non riguardano il modo in cui Yukos si è formata ed è stata poi acquisita da Khodorkovskij. Sono relative a qualche anno dopo ed al momento in cui la disgregazione della Federazione Russa aveva aperto la possibilità di promulgare legislazioni o comunque concludere convenzioni fiscali a livello delle autonomie locali. Per gli oligarchi si presentava la possibilità di concludere grossi affari, anche per Khodorkovskij. I grandi interessi economici si impegnarono nell’esplorazione e nella scoperta delle Cayman Islands degli Urali e si ingegnarono con successo a trarne il massimo beneficio. Le tecniche e le possibilità erano virtualmente illimitate e davano luogo a concatenazioni societarie praticamente infinite, il cui punto di arrivo più in voga era, di norma, una holding ciprota. Bastava, ad esempio, creare società, magari fantasma, in regioni fiscalmente avanzate come la Calmucchia o l’Evenkia e in cambio di futuri investimenti in loco si stipulavano convenzioni che potevano arrivare ad abbattere sino ad oltre due terzi del dovuto l’imponibile fiscale complessivo. Tecnicamente, l’esenzione fiscale andava di regola ad incidere sulla quota comunque destinata per legge alle finanze regionali o locali. Di fatto, la generalizzazione di queste pratiche rischiava quasi di prosciugare le più significative fonti di gettito dell’intero sistema paese.
A questo punto interviene la presidenza. Per mettere fine a questo fenomeno anarchico, Putin era disposto a mettere a rischi la consistenza stessa del budget federale. Per recuperare il controllo, propose una soluzione non scritta nei testi legislativi, ma basata sul potere personale e non sul diritto. La genesi delle fortune non si doveva toccare, anche perché sarebbe stato economicamente e politicamente insostenibile partire dall’anno zero. Però, almeno una parte di quanto sottratto attraverso quegli schemi fiscali, a trattativa privata e non a condono, lo si doveva restituire. Le grandi fortune iniziano a trattare con il governo, ma si piegano. Yukos ingaggiò avvocati preparandosi a difendere la legalità del suo agire, ma non glielo si poteva permettere. Non era in gioco la legalità ma la possibilità stessa del potere federale di recuperare ed esercitare il controllo delle proprie risorse. In parallelo, ripristinare il potere centrale in Russia significa ripristinare la funzionalità e l’obbedienza degli apparati. Yukos è stato il test di questa priorità. Così gli apparati, compreso quello giudiziario, scattarono sull’attenti rischiando, addirittura, di far danni per eccesso di fervore, di zelo e di obbedienza. In conseguenza, alla favola malinteso-marxista per cui prima ci sono i banditi, e poi si sviluppa un meraviglioso mercato smithiano, forse in molti ci hanno creduto. I grandi gruppi russi, nati molto spesso da un’intesa tra banchieri e capi delle società che dovevano farsi comprare, si sono il più delle volte sviluppati come una sorta di sistema feudale, nel senso che da un lato i condivisori del peccato originale – l’accumulazione originaria – mantenevano una sorta di diritto di veto nei confronti dell’”imperatore”, dall’altro l’”imperatore” ed i “feudatari” mantenevano interessi propri sui flussi societari. Difficile, almeno all’inizio, far prevalere una cultura della creazione del valore nel senso proprio del termine.
All’inizio degi anni Duemila l’interesse per la corporate governance e le sue pratiche visse un cospicuo incremento. Entrare nel libero mercato significava accettare la possibilità di essere comprati, e, dunque, si rendeva necessario stare sempre più attenti alla propria capitalizzazioni e sempre meno ai guadagni connessi al potere di gestione. L’accelerazione più violenta in direzione dei modelli economici occidentali di gestione e di controllo fu compiuta principalmente da quelle aziende che hanno origine nei metodi di loans for shares precedentemente analizzati. Queste aziende, infatti, non solo erano beneficiarie della favola capitalista, ma anche le principali debitrici. Yukos è lo spartiacque: al mercato si può e forse si deve accedere, ma solo passando per il Cremlino e nei limiti del suo consenso. Questa, in sintesi è la sterzata operata dalla manovra economica della presidenza Putin dopo quattro anni di governo.
Nel luglio del 2004, Yukos venne accusata di aver evaso per US$ 7 miliardi. Il governo la accusava di aver usato impropriamente oasi fiscali all’interno del territorio russo sin dagli anni ’90 per ridurre il suo carico contributivo. Yukos continuava a sostenere ed a difendere la legalità delle sue operazioni, ma non riuscì ad espugnare la corte russa. Il 19 dicembre del 2004 la principale filiale dell’azienda, Yuganskneftegas, viene messa in vendita. Si presentano due rilevatori: Gazpromneftegtaz e Baikalfinansgroup, un misterioso gruppo finanziario. La gara viene vinta da quest’ultima che acquistò Yuganskneftegas per 6,975 miliardi di euro. Questo gruppo finanziario era stato creato qualche giorno prima della messa in vendita. Non è facile capire chi ci sia dietro Baikalfinansgroup, se il Cremlino, Gazprom o un’altra impresa vicina al Cremlino come Surgutneftegaz. Per prevenire la bancarotta, la direzione dell’azienda fece un’offerta di 8 miliardi di dollari da versare nelle casse dello Stato in tre anni. Ma il 15 dicembre del 2005, Yukos era finita sotto curatore fallimentare anche negli negli USA a causa di un debito di US$ 30.8 miliardi contro un utile di 12.3 miliardi. Nei capi di accusa di fallimento era inclusa anche una presunta passività aggiuntiva per delle tasse dovute al governo russo. La corte di Huston dichiarò che non esisteva alcuna teoria convincente che potesse asserire che Yukos potesse avere il domicilio fiscale negli Stati Uniti. La Yukos fu definitivamente liquidata.